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Periodico della Parrocchia San Filippo Neri (Anno Pastorale 2019-2020)

 

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Colpo d'ala

 

Rubrica  senza vincolo di periodicità. Funzionerà ogni volta che avremo qualche cosa di utile da dire

Proviamo a riflettere. E per farlo ci incontreremo virtualmente qui per cercare di cogliere il senso di una breve provocazione.

Una data, un fatto, una persona, un luogo..... possono suggerirci un pensiero al quale far seguire un proposito e un comportamento.

 

ARCHIVIO ANNO PASTORALE 2019-2020

 

 

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GIU’ IL CAPPELLO di  GP. M. – 30 maggio 2020

 

 

 

Molto, moltissimo, è stato detto e scritto sul ruolo giocato dalle donne in questi giorni di pandemia: come scienziate all’interno dei laboratori di ricerca; come divulgatrici di informazioni scientifiche; come medici e infermiere dentro e fuori dagli ospedali; come mamme chiamate a “dirigere il traffico” nelle aree –spesso anguste- delle loro abitazioni; come lavoratrici impegnate a svolgere da remoto  il proprio lavoro professionale; come psicoterapeute dedite a riequilibrare le frustrazioni dei mariti maldestri che circolano per casa e combinano più danni che cose buone…

 

Sono state queste considerazioni a richiamarmi alla memoria la figura di una donna, morta da alcuni anni perché il suo fisico, ancora giovane, non ha resistito all’usura di una vita che l’aveva costretta a subire il peso dell’abbandono, della violenza, della prostituzione, della droga, del carcere.

 

Ho conosciuto personalmente Maria nel 1988, dopo averne letto in sovrimpressione sul teleschermo una pagina di diario, riportata da Sergio Zavoli  a conclusione della bellissima trasmissione “Viaggio intorno all’uomo”.

All’epoca Maria viveva in una comunità terapeutica e sperimentava il significato della solidarietà ricevuta e poi donata come impegno civile –donna vittoriosa- in un centro di recupero per malati di AIDS.

 

Ecco la pagina di diario che ebbi l’occasione di leggere e che fu all’origine di un’amicizia::

 

Per la delusione che ha accompagnato la mia venuta al mondo –

Per la violenza che ha distrutto la mia natura bambina –

Per il recupero che tentate, per la vita che mi rubate –

Per l’amore che ho dato, per tutto quello cui ho rinunciato –

Per le paure, per le battaglie combattute da sola –

Per le grettezze, lo scherno, le persecuzioni –

Per i ghetti, le carceri, i letti di contenzione –

Per la prostituzione cui mi avete guidata –

Per l’alienazione in cui mi avete gettata –

Per tutto questo e altro ancora:

giù il cappello, signori, giù signori

dinanzi ad una donna!

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Le donne eroine di Milo Manara

 

 

 

 

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LE PAROLE SONO PIUME di  G:Paolo Manganozzi – 25 aprile 2020

 

 

 

…Così, in nome di una necessaria misura di difesa collettiva dal contagio, i morti e i loro cari sono costretti a rinunciare al conforto di quei gesti ultimi che la Pietà umana e la Liturgia hanno elaborato nei secoli”.

 

Concludevo così, qualche giorno fa, una mia riflessone sugli effetti del coronavirus, riferiti ai possibili pensieri ultimi di chi intravede la propria fine nella più tristi delle solitudini, alla memoria dei morti e al sentimento del dolore di quanti li amavano. Memoria e dolore difficili da assorbire.

 

Ho pensato allora al libro, “La morte amica”, nel quale Marie de Hennezel racconta la sua esperienza di medico impegnato nel seguire i passi estremi dei malati terminali, parlando loro della morte con la levità delle piume, senza camuffare la verità e senza truccare il mistero e il solco del dolore. Al punto che la presa di coscienza  aiuta gli stessi malati a uscire dagli incubi, dal pensiero ossessivo e assegna loro il ruolo di protagonisti che possono riuscire a  comandare i tempi  e le modalità dell’ultimo tratto di cammino.

 

Ma l’impegno di Marie de Hennezel non si ferma qui: a quanti, medici e volontari, l’aiutano nell’incontro con i malati terminali pone l’obiettivo ulteriore di inventare un “rituale del lutto”, nell’intento di tendere la mano a “coloro che sono ancora vivi e combattono”.

Agli uni e agli altri credo possano essere rivolte le parole che il presidente francese Francois Mitterand  ha scritto nella prefazione al libro di  Marie, quale atto di gratitudine per  colei che lo aveva assistito:

 

“Mai forse il rapporto con la morte è stato povero come in questi tempi di aridità spirituale in cui gli uomini, nella fretta di esistere, sembrano eluderne  il mistero, ignari di prosciugare così una fonte essenziale del gusto di vivere.

…La morte può far si che un essere diventi ciò che era chiamato a divenire; può essere, nella piena accezione del termine, un compimento. E poi, non c’è forse nell’uomo una parte di eternità che la morte mette al mondo, fa nascere altrove?” .

 

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VENTICINQUE D’APRILE DER QUARANTACINQUE

 

Er senso vero de “libberazzione

lo vo’ sapeer monello de la scuola

pecapi’ si davero ‘sta parola

annisconne dolore e distruzzione.

 

La  maestra risuscita Stazzema

e li Fratelli Cervi e l’Ardeatine

er carvario de cristi co’ le spine

che solo a ricordalli er core trema.

 

Parla de pora ggente e de li forti

spariti da la vista anche a se stessi:

pe’ campa’ je toccava d’esse morti …

 

… però pe’ via de la libberazzione

sortirono dar buio de l’oppressi

e fu la Pasqua de risurrezione.

 

G:Paolo Manganozzi

 

In ricordo di quanti a lungo dovettero

vivere  nascosti per sfuggire alla morte

o alla deportazione..

 

 

 

 

 

 

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“HO UN SOGNO” di  GP. M. – 18 aprile 2020

 

 

 

Lo scorso 4 aprile il calendario ha segnato il 52.mo anno dalla morte di Martin Luther King, il pastore protestante grande protagonista tra le voci e le azioni contro la segregazione razziale dei negri.

Quel giorno del 1968 M. L. King , a Memphis, aveva pronunciato un discorso che è rimasto nella storia; lo proponiamo nella sua parte conclusiva, che precedette di pochi minuti le detonazioni dei colpi di pistola che l‘uccisero.

“Oggi, amici miei, vi dico: anche se dobbiamo affrontare le difficoltà di oggi e di domani, io continuo ad avere un sogno.

E’ un sogno che ha radici profonde nel sogno americano.

Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà e vivrà il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verità evidenti di per sé, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne della Georgia i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternità.

Ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, dove si patisce il caldo afoso dell’ingiustizia, il caldo afoso dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e di giustizia.

Ho un sogno, che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per l’essenza della loro personalità.

Oggi ho un sogno.

Ho un sogno, che un giorno, laggiù nell’Alabama, dove i razzisti sono più che mai accaniti, dove il governatore non parla d’altro che di potere di compromesso interlocutorio e di nullification delle leggi federali, un giorno, proprio là nell’Alabama, i bambini neri e le bambine nere potranno prendere per mano bambini bianchi e bambine bianche, come fratelli e sorelle.

Oggi ho un sogno.

Ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà innalzata, ogni monte e ogni collina saranno abbassati, i luoghi scoscesi diventeranno piani, e i luoghi tortuosi diventeranno diritti, e la gloria del Signore sarà rivelata, e tutte le creature la vedranno insieme.

Questa é la nostra speranza.

Questa é la fede che porterò con me tornando nel Sud.

Con questa fede potremo cavare dalla montagna della disperazione una pietra di speranza.

Con questa fede potremo trasformare le stridenti discordanze della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fraternità.

Con questa fede potremo lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme, andare in prigione insieme, schierarci insieme per la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi.

Quel giorno verrà, quel giorno verrà quando tutti i figli di Dio potranno cantare con un significato nuovo: "Patria mia, é di te, dolce terra di libertà, é di te che io canto.

Terra dove sono morti i miei padri, terra dell’orgoglio dei Pellegrini, da ogni vetta riecheggi libertà".

E se l’America vuol essere una grande nazione, bisogna che questo diventi vero.

E dunque, che la libertà riecheggi dalle straordinarie colline del New Hampshire.

Che la libertà riecheggi dalle possenti montagne di New York.

Che la libertà riecheggi dagli elevati Allegheny della Pennsylvania.

Che la libertà riecheggi dalle innevate Montagne Rocciose del Colorado.

Che la libertà riecheggi dai pendii sinuosi della California.

Ma non soltanto.

Che la libertà riecheggi dalla Stone Mountain della Georgia.

Che la libertà riecheggi dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Che la libertà riecheggi da ogni collina e da ogni formicaio del Mississippi, da ogni vetta, che riecheggi la libertà.

E quando questo avverrà, quando faremo riecheggiare la libertà, quando la lasceremo riecheggiare da ogni villaggio e da ogni paese, da ogni stato e da ogni città, saremo riusciti ad avvicinare quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, protestanti e cattolici, potranno prendersi per mano e cantare le parole dell’antico inno: "Liberi finalmente, liberi finalmente.

 

Grazie a Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente".

 

 

RICORDO DI MARTIN LUTHER KING

 

L’America ha ‘nventato er King ‘s day

pe’ sentisse tranquilla la coscenza;

cobbona pace de la nonviolenza

chiede de nun scassà li zebbedei.

 

Da quanno che de tutti li colori

ce combinò, all’inizzio, er Padreterno

è nato ‘n gran casino de l’inferno

e l’omo ariva puro a fasse fori.

 

Così, mentre che er nero appare bello

si preso ar quarzo o sotto ar solleone

visto in natura provoca ‘n macello;

 

senza pensa’ che a ‘n trucco se riduce

e che petoje ar bianco l’illusione

abbasta de guardallo controluce.

 

G.Paolo Manganozzi

 

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UOMINI  COME MOTORI di  G.Paolo Manganozzi – 13 aprile 2020

 

 

 

Quella fotografia è terribile. Penso vada inserita nella galleria di immagini di oscura bellezza generate dall’attuale pandemia e mi fa temere che qualcuno possa averla maldestramente accolta come esempio di tempestività ed efficienza in un momento in cui il coronavirus pone il problema della carenza di spazi. Necessitano spazi, è vero; ma che siano punti di accoglienza  e non depositi a cielo aperto, lontani perfino dalle tende-ricovero del lazzaretto di memoria manzoniana.

 

A  Las Vegas, i rettangoli ben delimitati del parcheggio del Cashman Center sono stati assegnati ai senzatetto in nome dell’urgenza di attuare il “distanziamento sociale” anticontagio Un “regalo” dello Stato del Nevada che consente ai  locali benpensanti di lavarsi la coscienza e le mani  senza uso di amuchina.

E’ l’effetto della “evoluzione” del  virus che può mettere in sonno il sentimento della solidarietà e del rispetto che si deve a ogni uomo, sentimento che invece trova in questi giorni splendidi esempi di partecipazione al rischio e al dolore dei malati.

 

Qualcuno potrebbe pensare (o ha di fatto pensato) che per i senzatetto è abitudine  dormire a cielo aperto e che a Las Vegas -ironia truce- in questo modo si può avere addirittura il conforto di   sentire come proprio lo spazio forse già occupato da una “Ferrari 288 GTO”.

A quel qualcuno, e più ancora agli amministratori di Las Vegas, verosimilmente ricca di parcheggi sotterranei, mi permetto suggerire di volere approfondire la conoscenza della vita dell’Abbé Pierre, -il piccolo prete francese con gli spazi dell’anima interamente invasi dalla presenza dei poveri e di Dio- che nella notte di un inverno di gelo riuscì a far mantenere aperti ai senzatetto i locali della metropolitana di Parigi.

 

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MIGRANTI AL TEMPO DEL CORONAVIRUS di  G.Paolo Manganozzi – 23 marzo 2020

 

 

 

Ogni giorno, alle sei pomeridiane, ”l’Italia sospesa” esce per un po’ dal suo acquario e diventa “l’Italia della trepidazione”: Il Capo Dipartimento della Protezione civile, dott. Angelo Borrelli, comunica la sintesi in cifre della lotta al pandemia del “coronavirus”; le punte di visione e di ascolto radio-TV toccano a quell’ora vertici crescenti, nella speranza di almeno qualche minima contrazione  dell’andamento della pandemia.

E’ un momento di trattenuta del respiro che solo oggi  - lunedi 23 marzo 2020 - intravede qualche  filo di speranza in noi reclusi nelle nostre case, speranza da custodire con gelosa attenzione lungo l’arco delle ventiquattro ore successive: è troppo forte il bisogno di pensare possibili  un presente di sopravvivenza e un futuro di vittoria .

Qualcosa però   non può essere represso dalla  ricerca di reagire e sorridere. Questo male, il cui nome “covid-19” evoca ironicamente odore di sciroppo o energia di vitamine, obbliga infatti, per evitare contagi dilaganti, a un isolamento assoluto che non  consente fino ad oggi  di scorgere un   limite di tempo.

Il pensiero più triste va allora  ai malati gravi e ai morti costretti a “emigrare”.

 

Senza intaccare l’ammirazione per l’impegno e la capacità di donazione  (sempre più spesso si parla di eroismo) di medici, infermieri e ogni altra persona coinvolta in questa improvvisa battaglia, è fuori da ogni immaginazione l’angoscia legata alla solitudine, all’interno di un box, di chi intravede la morte e invece  che al caldo di una carezza deve aggrapparsi al ricordo di una voce lontana offuscata dal ronzio delle macchine che aiutano una respirazione sempre più difficile e dolorosa..

Forse in loro e in chi li ama ma non può avvicinarsi o almeno concedersi un breve sguardo velato, diventa ribelle anche il pensiero di dover accettare l’idea  che l’allontanamento e il distacco dipendono da un atto di amore e non di abbandono.

Ed è difficile agli uni e agli altri far posto in quei momenti  al messaggio evangelico che per ogni battezzato c’è la possibilità di essere estratto dal buio del dolore e della morte. Come per il  cieco della piscina di Siloe.

 

Non meno crudele è la realtà della migrazione delle bare da un comune all’altro, da una regione all’altra in cerca di  “approdo”  ed di “accoglienza”; in alcuni casi infatti la frequenza delle morti supera la capacità ricettiva dei cimiteri o dei crematori.

Così, in nome di una necessaria misura di difesa collettiva dal contagio, i morti e i loro cari sono costretti a rinunciare al conforto di quei gesti ultimi che la Pietà umana e la Liturgia  hanno elaborato nei secoli.

 

. . .

Riusciranno gli arcobaleni disegnati dai bambini ed esposti alle finestre e ai balconi a farci pensare che davvero ”ce la faremo” ad uscire dall’incubo del colonnavirus? Tra le tante risposte possibili e spesso coesistenti possiamo forse includere quella suggerita dal Salmo 45:

 

“Dio è per noi rifugio e fortezza, aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce. Perciò non temiamo se trema la terra, se vacillano i monti nel fondo del mare.”

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TONO MINORE (purtroppo) di  GP. M. – 07 marzo 2020

 

 

 

8 marzo 2020, domenica. Quest’anno la nostra prima attenzione è catturata dalle evidenze presenti e prospettiche  del coronavirus. E non può non essere così di fronte all’aggressione di questa epidemia di dimensione  mondiale che estrae dalle pagine dei romanzi ( ….”I promessi sposi” ) e dall’archivio della storia i disastri di eventi più o meno lontani: davvero incredibile la forza del passaggio dalla descrizione al tatto della realtà.

 

Prima attenzione, dicevo. In situazioni diverse ci sarebbe stato un più giusto spazio riservato alle donne e alla loro festa. Personalmente –forse desiderando  ridurre il tasso di questa sottrazione- ho pensato di tornare in punta di piedi alla mattina dello scorso Capodanno e all’omelia di Papa Francesco; omelia che celebrando “Maria Santissima Madre di Dio” ne ha collocato la maternità all’origine della rinascita umana.

Mi è sembrato allora che all’omaggio delle mimose possa essere abbinato lo spessore nobile di alcune  frasi che, senza inutili commenti, estraggo dal testo del messaggio del Pontefice.

 

“Dio e l’umanità si sono uniti per non lasciarsi mai più: anche ora, in cielo, Gesù vive nella carne che ha preso nel grembo della madre. In Dio c’è la nostra carne umana”.

“Dal corpo di una donna è arrivata la salvezza per l’umanità; da come trattiamo il corpo della dona comprendiamo il nostro livello di umanità”.

“Oggi pure la maternità viene umiliata  perché l’unica crescita che interessa è quella economica. Ci sono madri che rischiano viaggi impervi per cercare disperatamente di dare al frutto del grembo un futuro migliore e vengono giudicate numeri in esubero da persone che hanno la pancia piena  di cose, e il cuore vuoto di amore”.

“Se vogliamo un mondo migliore, che sia casa di pace e non cortile di guerra ci stia a cuore la dignità di ogni donna. La donna è donatrice e mediatrice di pace e va pienamente associata ai processi decisionali, Perciò, una conquista per la donna è una conquista per l’umanità intera”.

 

E’ difficile immaginare una esaltazione più alta della donna in un contesto di tempo e di spazi in cui il corpo femminile spesso “viene sacrificato sugli altari profani della pubblicità, del guadagno, della pornografia, sfruttato come superficie da usare”  laddove, invece, andrebbe “rispettato e onorato”.

 

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LE MAMME COR PANCIONE

 

Pe’ vede’ quanto bello er monno sia

hai da sosta’ de dentro a ‘no spedale

dove le mamme prossime ar finale

aspetteno de fa’ l’ecografia.

 

S’appoggeno sur grembo co’ le mani

lievi come i cristalli de la neve;

la loro attesa ormai ridotta a breve

esprime la bellezza der domani.

 

Che sia maschietto oppuro ciumachella

lì dentro, ar buio, è chiusa la speranza

che tra li guai te fa la vita bella.

 

Respiri ‘ntorno l’aria der Natale,

ce so’ sorisi e gioia che t’avanza:

come fai a dubita’ su quer che vale?

 

 

G.Paolo Manganozzi

 

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SANREMO E PADOVA “2020”  di  GP. M. – 09 febbraio 2020

 

 

 

Ho visto in parte il Festival di Sanremo appena concluso, dedicando – fin dove mi riusciva a decifrare le parole  – particolare interesse al testo delle canzoni. Mi è accaduto anche nelle edizioni degli scorsi  anni, accorgendomi che il carisma di autori e  cantanti di molti brani riesce  a cogliere e protrarre nel tempo l’attenzione ad alcuni temi del nostro costume. Temi importanti che più che affidarsi a facili rime aggrediscono alcuni comportamenti della nostra vita collettiva.

 

Ho  seguito venerdì scorso la cerimonia che ha aperto la celebrazione di Padova a capitale europea del volontariato per l’anno 2020. La presenza e l’intervento del Presidente della Repubblica hanno accentuato il tono e l’incisività della tensione personale che i volontari impegnano nel “cercare insieme quanto è possibile e non è ancora stato inventato per umanizzare la società in cui viviamo”.

 

E’ in quel momento che  - abbandonato lo schermo di paillettes sfolgoranti, di chiffon e di fuori programma più o meno inventati – ho scoperto il possibile punto di contatto tra due fenomeni tanto diversi e potenzialmente incisivi.

Me ne ha offerto l’occasione questo testo di Simone Cristicchi, riproposto l’altra sera a Sanremo per rievocare una serie di passati successi. E’ il testo  che Cristicchi  ha dedicato alla piaga della malattia mentale, con  la quale i volontari più impegnati spesso si cimentano.

 

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Ti regalerò una rosa

Una rosa rossa per dipingere ogni cosa

Una rosa per ogni tua lacrima da consolare

E una rosa per poterti amare

Ti regalerò una rosa

Una rosa bianca come fossi la mia sposa

Una rosa bianca che ti serva per dimenticare

Ogni piccolo dolore

Mi chiamo Antonio e sono matto

Sono nato nel '54 e vivo qui da quando ero bambino

Credevo di parlare col demonio

Così mi hanno chiuso quarant'anni dentro a un manicomio

Ti scrivo questa lettera perché non so parlare

Perdona la calligrafia da prima elementare

E mi stupisco se provo ancora un'emozione

Ma la colpa è della mano che non smette di tremare

Io sono come un pianoforte con un tasto rotto

L'accordo dissonante di un'orchestra di ubriachi

E giorno e notte si assomigliano

Nella poca luce che trafigge i vetri opachi

Me la faccio ancora sotto perché ho paura

Per la società dei sani siamo sempre stati spazzatura

Puzza di piscio e segatura

Questa è malattia mentale e non esiste cura

Ti regalerò una rosa

Una rosa rossa per dipingere ogni cosa

Una rosa per ogni tua lacrima da consolare

E una rosa per poterti amare

Ti regalerò una rosa

Una rosa bianca come fossi la mia sposa

Una rosa bianca che ti serva per dimenticare

Ogni piccolo dolore

I matti sono punti di domanda senza frase

Migliaia di astronavi che non tornano alla base

Sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole

I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole

Mi fabbrico la neve col polistirolo

La mia patologia è che son rimasto solo

Ora prendete un telescopio... misurate le distanze

E guardate tra me e voi... chi è più pericoloso?

Dentro ai padiglioni ci amavamo di nascosto

Ritagliando un angolo che fosse solo il nostro

Ricordo i pochi istanti in cui ci sentivamo vivi

Non come le cartelle cliniche stipate negli archivi

Dei miei ricordi sarai l'ultimo a sfumare

Eri come un angelo legato ad un termosifone

Nonostante tutto io ti aspetto ancora

E se chiudo gli occhi sento la tua mano che mi sfiora

Ti regalerò una rosa

Una rosa rossa per dipingere ogni cosa

Una rosa per ogni tua lacrima da consolare

E una rosa per poterti amare

Ti regalerò una rosa

Una rosa bianca come fossi la mia sposa

Una rosa bianca che ti serva per dimenticare

Ogni piccolo dolore

Mi chiamo Antonio e sto sul tetto

Cara Margherita son vent'anni che ti aspetto

I matti siamo noi quando nessuno ci capisce

Quando pure il tuo migliore amico ti tradisce

Ti lascio questa lettera, adesso devo andare

Perdona la calligrafia da prima elementare

E ti stupisci che io provi ancora un'emozione?

Sorprenditi di nuovo perché Antonio sa volare

 

 

 

 

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UNA MATTINA CON SAMI di  GP. M. – 25 gennaio 2020

 

 

“Tu ce la devi fare Sami, tieni duro. Adesso girati e vai, vatti a riposare perché domani ti aspetta una giornata di lavoro pesante”. Il giorno dopo sono andato nella baracca numero 15 e papà non c’era più. Nell’arco di 30/40 giorni dal nostro arrivo alla rampa della morte sono rimasto SOLO, solo a combattere contro quello che offriva Auschwitz.

Uno dei discorsi che più mi sono rimasti fissi nella mente. Come può un ragazzino di tredici anni concepire delle parole così dure e allo stesso tempo così piene di dolore? Come può un ragazzino di tredici anni vedere il padre abbandonarsi tra le braccia della morte? Come può un ragazzino di tredici anni accettare tutto ciò? Ma a chi importava lì, ad Auschwitz? Lottare per sopravvivere era l’unico pensiero di ogni persona e talvolta non era neanche più quello, ma si tramutava in come metter fine il prima possibile a tutta quella sofferenza.

 

Come ha ripetuto Sami, ciò che è successo non si può annullare, non esiste una spugna magica che può cancellare dalla mente ogni singolo istante vissuto in quel luogo.

E come per lui, quello che Sami ci ha raccontato non si può cancellare neanche nella nostra testa, non si può.

Mi ritengo fortunata per aver avuto l’occasione di questo incontro, perché è tutta un’altra cosa. Leggerne, vedere Sami nelle interviste, non è come sentirlo parlare dal vivo. Sentire la sua voce tremolante, i sospiri, le espressioni, i gesti, è qualcosa di unico e  raccontarlo non sarà mai la stessa cosa. Vedere le sue lacrime mentre parla della sorella anche dopo settantasei anni mette i brividi.

Più volte Sami ha parlato dell’importanza dello studio e della cultura; nel mondo di oggi, come nell’arco di tutta la storia, studiare serve ad evadere dal carcere. L’ignoranza è un grande e buio carcere.

La storia insegna, ci dicono; … ma a quanto pare tutto questo massacro non ha insegnato proprio nulla.

Io mi chiedo -ed è qualcosa che non riesco proprio a comprendere, perché forse va al di là delle mie capacità- come può un uomo, dotato di ragione, compiere uno scempio del genere. Come può un uomo arrivare a fare simili cose con una freddezza sconcertante, senza neanche un minimo di titubanza. È un qualcosa che non potrò mai spiegarmi. È così assurdo.

Aver avuto la possibilità di questo incontro mi ha aperto ancora di più gli occhi su qualcosa che fino ad ora sì, avevo capito, ma per me rimaneva lontano, sui libri.  Sentire tali parole mi ha fatto avvicinare e comprendere ancor da più vicino ciò che è accaduto.

“Posso io scordarmi dell’ abbraccio di mia sorella quando vede la mia fetta di pane? Di sicuro aveva le lacrime agli occhi, di sicuro le aveva, non le vedevo. Come le avevo io le lacrime di gioia perché le avevo offerto qualche cosa. Ero felice, in quel momento ero felice. Avevo fatto un gesto di amore verso mia sorella. E  subito dopo mi rimanda indietro il panno dove c’è ancora la mia fetta di pane e la sua fetta di pane.”

Sono parole che non puoi dimenticare. Sono parole che ti fanno capire il vero valore fraterno. Episodi del genere non puoi dimenticarli. Purtroppo sono questi momenti che mi fanno aprire gli occhi, facendomi rendere conto di quanto sia fortunata ad avere due sorelle accanto a me… le quali sono certa che in una situazione simile avrebbero fatto lo stesso.

 

Mi sarebbe piaciuto andare  vicino ma Sami e porgli una domanda, ma sono prevalsi il mio timore di parlare davanti a tutti, la paura di sbagliare ... Ho perso un’occasione che non si ripeterà mai più, me ne rendo conto, eppure anche solo una stretta di mano mi avrebbe potuto dare una spinta in più.

 

“… Perché proprio io? Perché di tutte quelle persone proprio io sono rimasto vivo?” E’ la domanda che Sami si è posto molte volte, ma credo che chiunque se la sarebbe posta . E una risposta, insieme a Pietro, l’hanno trovata: finché Dio avesse dato loro la forza avrebbero dovuto parlare a tutti. Parlare per far conoscere e far aprire gli occhi alle menti più ottuse. Parlare per evitare che atti del genere non si ripetessero in futuro. Parlare per far rendere conto alla generazioni successive, e in particolare  a noi più giovani, a quanta disumanità l’uomo può arrivare e evitare che riaccada.

B7456 è molto di più che un numero.                                          G.U.

 

***

Samuel ModianoSami – è un italiano nato in Grecia, sopravvissuto all’inferno di Auschwitz-Birkenau.  Ha 90 anni e supera la fatica e il dolore di ogni rievocazione nel tentativo di raccontare e trasmettere, i segni degli orrori vissuti nel lager.

Ogni anno, il 27 gennaio,  è la “giornata mondiale della memoria”; affidiamo ai pensieri e  alle parole di una giovane  la rappresentazione di un abominio compiuto dall’uomo e che sarebbe colpevole dimenticare. Sono pensieri e parole che le hanno suggerito il cuore e la mente dopo l’incontro di Sami con gli studenti della Scuola “Vittorio Gassman” di Roma.

 

 

 

 

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ICARO  di  GP. M. – 18 gennaio 2020

 

 

 

 

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Quattro anni fa, a Natale, avevo aggiunto alle mie povere preghiere questa implorazione: “Padre nostro, fa’ che la culla delle onde di risacca, stordita per aver custodito il sonno gelido di Aylan –tre anni- non accolga più bambini per respingerli con dolce falso dondolio verso le spiagge dalle quali essi vogliono fuggire. Fuggire per nascondersi alle traiettorie dei proiettili, ai crampi della fame, alla mancanza di medicine, all’assenza di almeno un simulacro di scuola”.

Aylan, bambino siriano di etnia kurda, era morto durante il tentativo disperato del padre di immigrare con la sua famiglia in Grecia.

 

Gennaio 2020: Laurent, ragazzo quattordicenne ivoriano, viene ritrovato, a Parigi, raggomitolato nel carrello di un jet. Laurent aveva imitato Icaro, nel volo e nella tragedia, per cercare di emigrare dalla Costa D’Avorio: asfissia e assideramento (-50°) a diecimila metri di quota.

Il colpo emotivo generato dal piccolo corpo di Aylan riverso sull’arenile è ormai lontano dalle nostre menti distratte e molti circuiti mediatici hanno riservato a Laurent il gelido appellativo di “clandestino”.

Questa volta alla preghiera non ho potuto non abbinare una considerazione che desidererei veder replicata nei pensieri di altre persone. (E’ immodestia?).

 

Di recente ho letto alcuni risultati di uno studio IPSOS –non dissimili nella sostanza da quelli pubblicati dall’ISTAT- i quali ci hanno detto che gli stranieri sono il 9% dei residenti nel nostro Paese; la maggioranza degli italiani, invece, pensa erroneamente che l’”invasione” estera tocchi  il 31%. Tale valutazione in eccesso, risulta abbastanza diffusa pure a livello  a livello europeo, particolarmente tra gli Stati che coltivano in assoluto l’idea della loro sovranità, accantonando i principi –morali ma anche di pura convenienza- della cooperazione. Di difficile comprensione risulta pertanto la loro contrastante idea di non collocare il problema dell’immigrazione in testa alle urgenze da prendere in considerazione.

Parere non dissimile esprime  il 50% degli intervistati italiani, i quali mettono la disoccupazione in testa alle priorità da affrontare, seguita dalla  situazione economica (38%); il nodo da sciogliere dell’immigrazione raccoglie il 28% dei consensi.

In sostanza, la concretezza dei numeri suggerisce che l’immigrazione non è in Europa –Italia compresa- l’emergenza che viene conclamata affidandone la dimensione a percezioni collegabili alla diffusione di dati impropri, soprattutto da parte di alcuni “social”. Dati che giocano sulla  colpevole disinformazione delle persone,   sulla forza della propaganda e sull’abilità di confondere  in un unico totale i doveri dell’accoglienza e i problemi –veri e grandi-  dell’ integrazione.

 

Padre nostro, fa’ che l’uomo ritrovi il senso dell’umanità.

 

 

 

 

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PENSIERI SENZA TEMPO di  GP. M. – 04 gennaio 2020

 

 

Passa tranquillamente tra il rumore e la fretta,

e ricorda quanta pace può esserci nel silenzio.

 

Finché è possibile senza doverti abbassare,

sii in buoni rapporti con tutte le persone.

 

Di’ la verità con calma e chiarezza; e ascolta gli altri,

anche i noiosi e gli ignoranti, anche loro hanno

una storia da raccontare.

 

Gioisci dei tuoi risultati così come dei tuoi progetti.

 

Conserva l’interesse per il tuo lavoro, per quanto umile:

è ciò che realmente possiedi per cambiare le sorti del tempo.

 

Soprattutto non fingere negli affetti, e neppure sii cinico

riguardo all’amore;

poiché a dispetto di tutte le aridità e disillusioni

esso è perenne come l’erba.

 

Accetta benevolmente gli ammaestramenti che derivano dall’età,

lasciando con un sorriso sereno le cose della giovinezza.

 

Molte paure  nascono dalla stanchezza e dalla solitudine.

Al di là di una disciplina morale, sii tranquillo con te stesso.

 

Tu sei un figlio dell’universo, non meno degli alberi e delle stelle;

tu hai il diritto di essere qui.

 

Perciò sii in pace con Dio, comunque tu lo concepisca,

e quali che siano le tue lotte e le tue aspirazioni

conserva la pace con la tua anima pur nella rumorosa

confusione della vita.

Con tutti i suoi inganni, i lavori ingrati e i sogni infranti,

il mondo è ancora stupendo.

 

Fai attenzione.

 

Cerca di essere felice.

 

*****

A causa di un banale equivoco, l’onore di aver composto questa “Desiderata di Baltimora” fu reso a un inesistente autore di fine 1600.

Per amore di verità, va detto che questa preghiera va invece attribuita a Max Ehrmann, cittadino dell’Indiana, al quale la morte (1945) impedì di conoscerne il grande successo. Successo sopravvenuto negli anni settanta, dopo che il Parroco della Chiesa Episcopale St. Paul di Baltimora (di qui la derivazione del titolo) l’inserì in una raccolta di preghiere.

L’invito a essere in pace con Dio e con la propria anima  e l’esaltazione della bellezza del mondo, pur in presenza dei suoi inganni, ha colpito milioni di uomini di ogni Paese.

 

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NON SAPPIAMO RICONOSCERLO  di  GP. M. – 21 dicembre 2019

 

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Alcuni poveracci sono andati dall’Eremita per averne lume e consiglio. Egli passa la sua giornata tra la coltivazione dell’orto e la lettura e non gli piace perdere tempo in chiacchiere; però talvolta cede alla compassione per l’ignoranza della povera gente.

“Ah, vi meravigliate che Egli si sia mostrato come uno straccione?” dice l’Eremita.  “E che v’aspettavate, che si presentasse come un banchiere con il cilindro e i guanti gialli?”.

“Credi” gli chiede uno dei cafoni “ch’Egli si trovi ancora dalle nostre parti?”.

“Egli è in ogni uomo che soffre; Lui stesso ce l’ha spiegato. Egli è in ogni povero”.

“Io sono povero, eppure in me Lui non c’è”.

“Tu sei povero,  ma non vorresti essere ricco?”.

“Ah certo, magari”.

“Vedi, sei un falso povero”.

“Se vive tra noi, perché non lo vediamo?” gli domanda  un altro.

“Perché noi non sappiamo riconoscerlo”.

“Ah! Spiegami,  dove potrei trovarlo?” gli chiede un vecchio stagnino. “Tu sai come io sia mal ridotto, e avrei tanto bisogno di una grazia”.

“Se hai bisogno urgente di denaro,  devi chiederlo al diavolo, non a Gesù” gli spiega l’Eremita. “Sarebbe inutile, sarebbe fiato sprecato implorarlo da Lui. Egli è povero, veramente povero, e non solo per modo di dire. Egli è povero, ancor più povero di me e di te “.

Quei derelitti rimangono costernati. “Di dei, forse, non ce n’è uno solo, e ogni razza, si racconta, ha il suo; ma, porca miseria, proprio a noi disgraziati doveva toccare un Dio simile?”.

 

da:  Ignazio Silone, “Il seme sotto la neve” – Mondadori 1976

 

 

Forse le parole del brano appena letto possono aiutarci a verificare l’autenticità della nostra ricerca  di “Cristo Signore che è e che era e che viene”. Buono e santo Natale. GP.M.

 

 

 

 

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L’INCONTRO di  GP. M. – 14 dicembre 2019

 

 

Le ”letture” dell’Avvento –e da lunedì più ancora quelle della Novena di Natale- segnano il tempo del cambiamento imminente.

Ai testi biblici su un Dio guerriero e giustiziere si vanno sostituendo quelli che parlano di un Gesù atteso con dolce trepidazione, portatore di pace-gioia-giustizia.

E’ il clima sereno di un incontro che per essere possibile esige anche il nostro personale andare.

 

“… Egli viene a salvarvi.

Allora si riapriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa.

Ci sarà una strada appianata e la chiameranno “Via santa”; nessun impuro la percorrerà e gli stolti non vi si aggireranno. Non ci sarà più il leone, nessuna bestia feroce la percorrerà, vi cammineranno i redenti” (Isaia 35, 3-6, 8-9).

 

 

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L’ALGORITMO  di  GP. M. – 30 novembre 2019

 

 

Ho avuto l’occasione di ascoltare il testo di quattro citazioni proposte in un suo intervento –non so in quale contesto- dal prof. Franco Nembrini, del quale mi avevano già catturato i bellissimi commenti alla Divina Commedia trasmessi da TV 2000.

Quattro citazioni, ho detto. Eccole:

 

"La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata,
si burla dell'autorità e non ha alcun rispetto degli anziani.
I bambini di oggi sono dei tiranni, non si alzano
quando un vecchio entra in una stanza,
rispondono male ai genitori, in una parola: sono cattivi".
Socrate (470 a.C.)

"Non c'è più alcuna speranza
per l'avvenire del nostro paese
se la gioventù di oggi prenderà il potere domani,
poiché questa gioventù è insopportabile,
senza ritegno, terribile
".
Esiodo (720 a.C.)

"Il nostro mondo ha raggiunto uno stadio critico,
i ragazzi non ascoltano più i loro genitori:
la fine del mondo non può essere lontana".
Un sacerdote dell’antico Egitto (2000 a.C.)

 

"Questa gioventù è marcia nel profondo del cuore.
I giovani sono maligni e pigri,
non saranno mai come la gioventù di una volta;
quelli di oggi non saranno capaci”.

Incisione su un vaso di argilla dell’antica  Babilonia (3000 a.C.)

Ho ascoltato e ho immediatamente pensato alla loro attualità, al loro “fermo immagine” che le decine di secoli non hanno minimamente sbiadito.

Praticamente ognuno di noi ripete gli stessi giudizi -con minore eleganza verbale e soprattutto con autorevolezza non confrontabile- e ne fa oggetto di quotidiane “lamentazioni” al bar,  nei vagoni della metropolitana, nei più comuni luoghi di incontro o anche intorno al tavolo della cena.

Li ripetiamo con tono di sentenza ma intanto non proviamo a dare il nostro contributo per migliorare la situazione; almeno di un po’. Tanto, diciamo, questo è il verso del mondo.

Ovviamente quanto appena espresso va inteso in senso generale, prescindendo cioè dai tanti casi di comportamenti diversi, più virtuosi.

 

… E se invece che di vuoto e diffuso menefreghismo si trattasse (dubbio maligno) di un “gioco” pensato da qualcuno per farne oggetto di un’operazione di potere, di cattura del consenso?

La disponibilità dei moderni mezzi di comunicazione (web soprattutto), l’uso di false notizie o comunque di   linguaggi accuratamente studiati possono far apparire come un dono l’invito al disimpegno, alla rarefazione del senso del dovere.

“Non ti preoccupare.” sembrano dire “Penso io per te; anzi dammi una delega in bianco in modo che io possa renderti più abbordabili i  pesi quotidiani”. (Lo studio, il lavoro, la politica, l’educazione della propria coscienza, la comprensione e la partecipazione attiva al contrasto dei bisogni degli altri, la ricerca del lato positivo e consolante nascosto all’interno di questi stessi problemi).

Il rischio mi sembra quello dell’impoverimento dei pensieri, della caduta nella rete della genericità degli slogan. Rischio che va dalla rinuncia alla creazione del nuovo (per uno studente è più agevole il copia e incolla di un tema attraverso l’uso di internet) alla adesione ai modelli più vacui e al cedimento al sogno dei paradisi artificiali.

Tutto ciò, va ripetuto, deve essere letto in senso generale; senza dimenticare i voli di cui è capace la scienza per effetto dell’impegno di una folla di studiosi.

 

Camminare lungo questi sentieri significa spesso rinunciare progressivamente a pezzi di libertà, a illudersi che anche l’amore, il sogno, la bellezza, le speranze, la stessa ricerca di Infinito possano dipendere dall’applicazione di un algoritmo personale.

E mentre penso al rischio di questo “scivolamento”,  non posso non  ricordare una sintesi micidiale di Trilussa intitolata “Nummeri”:

 

Conterò poco, è vero:

-diceva l’Uno ar Zero-

ma tu che vali? Gnente.

Sia nell’azzione come ner pensiero

rimani un coso voto e inconcludente.

Io, invece, se me metto a capofila

de cinque zeri tali e quali a te,

lo sai quanto divento? Centomila.

E’ questione de numeri. A un dipresso

è quello che succede ar dittatore

che cresce de potenza e de valore

più so’ li zeri che je vanno appresso.

 

 

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IL GRIDO DELLA TERRA E IL GRIDO DEI POVERI di Paolo Bustaffa (*). – 16 novembre 2019

 

 

Mai come in questo tempo di incertezza e di disorientamento globali si è levato con tanta forza il grido dei giovani per il futuro del pianeta. Un grido che ha infastidito, ha irritato portando alcuni a rispondere con diffidenza e irrisione.

Un uomo anziano, vestito di bianco, non da ora l’ha raccolto. Si è seduto  accanto ai giovani sul gradino della casa comune minacciata e pericolante. Il 24 maggio 2015 anche a loro aveva inviato una lettera dal titolo ‘Laudato si’’.

Ha denunciato lo sfregio al volto del Pianeta e al volto dell’Uomo, ha indicato a tutti,credenti e non credenti, la direzione da prendere per restituire dignità e bellezza ai due volti.

Le lacrime della terra e le lacrime dell’uomo0 si mescolano e insieme chiedono giustizia.

Un mare, il Mediterraneo, trasformato in un immenso cimitero, un a foresta e una cultura, quelle dell’Amazzonia, violentate e devastare, uomini e donne in fuga (il popolo kurdo massacrato dall’ennesimo conflitto) sono oggi alcune immagini che esprimono il pianto cosmico del primo decennio 2000.

Ma quelle lacrime esprimono anche la volontà di ribellarsi allo scempio.

Non è impossibile reagire. Un uomo di nome Francesco,  si era ribellato e spogliandosi di tutto e si era messo in cammino in compagnia degli ultimi e degli umili. Camminavano avvolti nei colori dei paesaggi delle diverse stagioni, insieme hanno raggiunto la meta della perfetta letizia.

Su quelle stesse tracce è oggi l’uomo vestito di bianco che ha iniziato con il Cantico delle creature la lettera ‘Laudato si’ sulla cura della casa comune.

Un punto importante da cogliere in quel suo messaggio è il richiamo alla “ecologia integrale”.

E’ bene ma non basta preoccuparsi dell’ecologia ambientale occorre avere a cuore quella economica e quella sociale.

Come dire: non solo il colore verde è a rischio di dissolvenza, tutti gli altri colori lo sono. Bisogna salvarli tutti

 

All’arroganza, alla prepotenza e all’indifferenza si può infatti rispondere con gesti quotidiani di custodia dei fratelli più fragili, gesti quotidiani di custodia di “sora nostra madre Terra”.

Si scopre così che “custodia” non significa solo proteggere l’altro (l’uomo e l’ambiente) in libertà, in dignità in bellezza.

Ecco allora che trovano consistenza due indicazioni: la prima riguarda il cambiamento degli stili di vita. La seconda indicazione invita alla conoscenza dei problemi e assumere e assumere competenze tecniche, scientifiche ed economiche per affrontarli.

Le piccole cose di tutti i giorni –come la storia insegna- contribuiscono a sensibilizzare le coscienze mentre l’impegno culturale e politico va riscoperto come servizio al bene comune che per essere tale deve includere l’ambiente.

Che si inizi questo processo è quanto i giovani chiedono a se stessi e agli altri, in particolare a quelli che hanno responsabilità politiche e di governo.

 

(*) Paolo Bustaffa ha scritto questo editoriale per il n. 4/’19 di “DITUTTICOLORI”, bimestrale del quale è direttore responsabile.

Ditutticolori” è la rivista di Casa Betania , attiva nel nostro quartiere, ma con l’anima e l’occhio aperti ai problemi di accoglienza di tutti coloro che per carenze familiari possono trovarsi in condizioni di bisogno.  “Casa Betania” – v. delle Calasanziane,  19,  00167 Roma.

 

 

 

 

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UNA SIGNORA  di  GP. M. – 09 novembre 2019

 

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Occorre una premessa, anche se la storia personale , il garbo e il livello morale della persona protagonista sono conosciute da tutti, compresi coloro che, nell’ombra dell’anonimato informatico, ne fanno bersaglio quotidiano di insulti.

 

Il Fatto

Il 30 ottobre scorso Liliana Segre – 89 anni, senatrice a vita “per altissimi meriti” (Costituzione art. 59,2), sopravvissuta agli orrori di Auschwitz, come testimonia il numero 75190 impresso sul suo braccio di bambina ebrea – ha proposto l’istituzione di una commissione parlamentare per studiare e contrastare ogni forma di razzismo, antisemitismo e intolleranza.

 

Il Senato ha approvato ma, contrariamente alle attese, ai 151 voti favorevoli hanno fatto da contraltare 89 astensioni. Inoltre, accentuazione davvero riprovevole, le stesse persone astenutesi – cioè i rappresentanti di Lega, Forza Nuova e Alleanza nazionale – sono rimaste ostentatamente sedute nei propri scranni mentre l’aula tributava in piedi un’ovazione alla Senatrice.

 

La Signora Segre ha reagito con serena compostezza “anche se si aspettava accoglienza, solidarietà, umanità, etica, un consenso ecumenico senza steccati; invece ha trovato indifferenza al suo desiderio di giustizia”. Sono parole che il figlio ha scritto nella lettere indirizzata al Corriere della Sera, premettendo alcune sue valutazioni di natura politica e alcune frasi di dura condanna, concluse con le parole: “A voi dico: io credo che non vi meritiate Liliana Segre!”.

 

Davvero un fatto triste, che ha visto protagonisti anche coloro che in un 27 gennaio non lontano (giornata della memoria delle vittime della shoah), tra le baracche di Auschwitz, in veste ufficiale di esponenti del Governo Italiano, avevano sillabato parole di condanna dell’antisemismo e di partecipazione al dolore infinito evocato dai lager, parole rivelatesi oggi di sola bugiarda circostanza.

 

E tutto questo in un momento in cui, con la voce silenziosa della coscienza e con quella gridata della verità storica, bisognerebbe evitare le pesantezze verbali tipiche del tornaconto del proprio piccolo orto di famiglia o di partito e spiegare-dimostrare, soprattutto ai giovani, che la vita è lotta, è confronto ma non sopraffazione, è cultura del bene comune e non costruzione del sospetto.

 

E tutto questo in un momento in cui gli ultimi preziosi testimoni dei principali eventi del secolo scorso hanno bisogno della scorta armata dei carabinieri per poter raccontare e documentare – come fa Liliana Segre ai bambini e ragazzi delle scuole – il valore della memoria e della speranza.

 

 

 

 

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